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    Info e Regole


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    Allo stesso modo chiedo  ai partecipanti di condividere poche e semplici regole:
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    -ogni articolo deve essere firmato e l’estensore si assume la responsabilità di quanto dichiarato.

    Come vedete sono poche e semplici regole di normale educazione . In qualità di gestore del blog farò in modo che vengano rispettate.

    Buona lettura e confronto.


    Pier Giorgio Gaiardoni

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    LA LUCE IN ARCHITETTURA 2° PARTE

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    150

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    Scrisse Siegfried Giedion: «È la luce che dà la sensazione di spazio. Lo spazio è annullato dall’oscurità. Luce e spazio sono inscindibili. Se si elimina la luce il contenuto emotivo dello spazio scompare e diventa impossibile coglierlo. Nell’oscurità non esiste alcuna differenza fra la valutazione emozionale del vuoto e quello di un interno ben articolato».

    L’architettura esiste perché c’è la luce. Per vederla, viverla, goderne. Il rapporto tra luce e architettura non è quindi riconducibile soltanto a un buon orientamento del fabbricato e a un adeguato dimensionamento e disposizione delle finestre, ma è un problema molto complesso, di cui si è tentata persino una schematizzazione in cinque punti: l’illuminazione naturale, la luce trasformata e condotta agli spazi interni, l’illuminazione artificiale e l’arte delle luci, lo splendore, la lucentezza, il riverbero e, infine, il colore. Tuttavia, l‘interazione tra luce e architettura si può leggere anche in un altro modo, più emozionale, forse, ma altrettanto significativo: appropriazione della natura, raggiungimento del cielo, cattura di significati trascendentali e così via. Perché la luce ha sollecitato considerazioni metafisiche, filosofiche e scientifiche ed è quindi espressione della diversità tra culture e periodi storici.

    Non è un caso, infatti, che la luce, poiché si contrappone alle tenebre, sia uno dei motivi della cosmologia, della cosmogonia e del simbolismo che più hanno influenzato l’architettura a livello religioso e psicologico. Di conseguenza, la comunicazione con il cielo (esemplificata dall’occhio del Pantheon) o la sua stessa rappresentazione (volte e cupole) è un elemento importante, che attraversa in verticale tutta la storia dell’architettura. Nei templi dell’antico Egitto si realizzavano i pozzi di luce per incanalare i raggi solari verso punti precisi, rafforzando il significato simbolico dell’edificio religioso: nel tempio di Abu Simbel a metà ottobre e a metà febbraio, grazie all’allineamento delle porte, che tiene conto dell’inclinazione dei raggi solari in rapporto all’asse terrestre, il sole illumina le statue di Ramesses II e di due divinità. Nelle cattedrali gotiche le vetrate lasciano filtrare la luce ma, non essendo trasparenti, separano concettualmente e fisicamente lo spazio interno da quello esterno. Nella Divina Commedia di Dante si riflette quella concezione dell’universo che gli architetti gotici tentavano di materializzare nelle cattedrali e si descrive l’ambiente pervaso da una luce che arriva ovunque, ma con diversa intensità. Nel Convento de la Tourette a Éveux, Le Corbusier ha posto sopra la sagrestia le mitraillettes, aperture romboidali inclinate verso sud, che diffondono la luce all’interno: invece la cripta situata sotto la cappella laterale della chiesa è illuminata dai cannoni di luce, tre cilindri con diverso orientamento e colore che danno luminosità a una serie di altari posti ad altezze differenti e tingono il cemento di rosso, bianco e blu.

    La luce si può considerare un materiale da costruzione con un’insostituibile funzione compositiva, perché a caratterizzare gli spazi non sono solo e soprattutto la forma e il colore delle pareti che li racchiudono, ma la luce che vi penetra, il modo in cui si diffonde, il rapporto che, grazie a questa, si viene a creare con l’esterno. «L’architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi assemblati nella luce», ha scritto Le Corbusier. La luminosità dei musivi cieli bizantini e gli effetti plastici dei templi greci, ottenuti sfruttando la rifrazione dei raggi solari, accrescono l’intensità della percezione dello spazio e dell’architettura nel suo complesso. È ancora più significativa, nel periodo barocco e tardobarocco, la ricerca di spettacoli totalizzanti e nuove spazialità, ottenuti attraverso la luce radente, laterale, che proviene da una fonte nascosta, la luce radente dall’alto, talvolta con effetti illusionistici, quella riflessa dalle camere di luce, cellule spaziali destinate a incanalare la luce in una data direzione o a ritardarne il flusso attraverso una serie di riflessioni, che ne diminuiscono l’intensità e ne variano la qualità e la direzione. E ancora lo sfondo abbagliante, la duplice struttura con la calotta esterna illuminata e quella interna forata, la luce materializzata che buca la struttura (i cosiddetti condotti di luce), quella incidente filtrata dalle vetrate, con effetti scenografici e trasfiguranti, le fonti luminosi situate in basso, per intensificare la diffusione della luce e accentuare la non-struttura delle pareti.

    Luce vuole dire anche trasparenza che, con l’uso sempre più diffuso ed esteso del vetro, assume dalla seconda metà dell’Ottocento - è del 1851 il Crystal Palace di Joseph Paxton, considerato l’archetipo di tutta la successiva architettura in ferro e vetro - un ruolo determinante sia nello spazio interno che nel rapporto tra edificio ed esterno, tra materia e infinito. L’architetto neoespressionista Gottfried Böhm rimase affascinato dalla vivacità della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, caratterizzata dai caffè pieni di gente e dalle vetrine abbaglianti, ma soprattutto dalla luce, che taglia l’atmosfera intima e civettuola, dinamizzando gli spazi, e prorompe intatta dall’alto, direttamente dall’origine. Lo storico dell’arte Hans Sedlmayer, parlando della Galérie des Machines, progettata da F.Dutert e H.L.Contamin per l’Expo di Parigi del 1889, ne ha elogiato l’insolita luminosità: «Una tale profusione di luce profana - ha detto - è quasi una consacrazione religiosa. Chi non sapesse a quale scopo questo ambiente è destinato, potrebbe forse pensare a una chiesa in cui si pratica il culto della luce».

    Il vetro - e con esso la luce - è diventato nel tempo protagonista di molte esperienze architettoniche, trasformando facciate e valorizzando interni: dai progetti per i grattacieli in vetro di Mies van der Rohe ai lucernari realizzati da Peter Behrens nel palazzo per uffici Hoechst a Francoforte e da Frank Lloyd Wright nel Guggenheim Museum a New York; dalla monumentale parete concava del fronte est della sede del Partito comunista francese a Parigi di Oscar Niemeyer (che aveva sperimentato ben altri significati della luce nella cattedrale di Brasilia), alla casa Spiller di Frank Owen Gehry - in cui la luce del sole, che piove dall’alto e lateralmente, gioca con le strutture in legno e ferro creando intrecci e arabeschi sempre diversi - alle innumerevoli coperture trasparenti, utilizzate per ottenere luoghi di vita associata piacevoli e funzionali.

    Louis Kahn sfrutta il light well (pozzo di luce) nell’Indian Institute of Management ad Ahmedabad, ultimato dai suoi collaboratori indiani, per far penetrare con forza all’interno la luce esterna. Per Kahn è sempre stata un elemento fondamentale della composizione («la struttura è datrice di luce», «tutta la materia è luce... è la luce che, quando termina di essere luce, diventa materia», in quanto è «la donatrice di ogni presenza»). Per chiarire il concetto, Kahn citava le colonne che, imponendo il ritmo buio-luce, reinterpretano il rapporto tra pieno e vuoto dell’edificio.

    Suggestioni e rimandi culturali e simbolici sono nel Centro culturale del mondo arabo a Parigi di Jean Nouvel: la parete sud, orientata verso la Mecca, è costituita da un reticolo di quadrati - ciascuno con alcune decine di aperture a diaframma di varie dimensioni, disposte attorno a una centrale più grande, che attraverso un sistema di fotocellule possono dosare automaticamente l’ingresso della luce diurna - che disegna un motivo ispirato ai grafismi della cultura islamica, esaltato di notte dalla luce artificiale. Anche Le Corbusier sfruttò nella cappella di Ronchamp la parete sud, che riceve la maggiore insolazione, per praticare aperture profonde, tronco-piramidali, con vetri da lui disegnati che, oltre a concorrere alla composizione generale dell’edificio, alternassero all’interno della chiesa, con il variare della luce, giochi cromatici. Ma il vetro, grazie alla luminosità che lascia filtrare e che induce a pensieri spirituali, suggerì a Bruno Taut ben altra tematica. Cioè l’idea dell’Alpine Architektur, un’utopia rilucente di cristalli, metafora di un mondo privo di armamenti e guerre. Una favola ancora attuale.

     COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA E URBANA di Maria Pia Belski    particolari di progettazione

     

    http://www.gaianetwork.eu/design/slide.php?lang=ita&target_vol=92&id_volume=108#http://www.gaianetwork.eu/public/volumi/photo/108/7511.jpg

     

    http://www.gaianetwork.eu/design/slide.php?lang=ita&target_vol=21&id_volume=26#http://www.gaianetwork.eu/public/volumi/photo/26/1179.jpg

     

     

     

     

    di Pier Giorgio Gaiardoni postato il 07/07/2014 alle ore 13:55:13

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