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Come vedete sono poche e semplici regole di normale educazione . In qualità di gestore del blog farò in modo che vengano rispettate.
Buona lettura e confronto.
Pier Giorgio Gaiardoni
Voglia di
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raccontare
Da qualche anno si sta sviluppando un’attenzione crescente nei confronti della luce artificiale in architettura. A determinare tale orientamento è la volontà di restituire alle città la vivibilità, consentendo ai cittadini di riappropriarsi degli spazi urbani e di goderne, non solo per i loro aspetti funzionali ma anche per il loro valore estetico. Naturalmente di questa rivalutazione dell’arredo urbano trae beneficio il richiamo turistico. Si è scoperto, o forse riscoperto, che la luce artificiale può essere sfruttata come “parametro di definizione spaziale” e che, rispetto alla luce naturale, essa offre una maggiore possibilità di “manipolazione”. Infatti la luce artificiale, oltre ad essere un elemento integrante dello spazio, modifica, sfruttando fenomeni ottico-percettivi, la percezione della “distribuzione spaziale”. Cerchiamo di approfondire questi concetti. La luce visibile altro non è che la testimonianza esteriore, il segno tangibile, di processi di trasformazione della materia nei quali viene liberata energia. Intervenire con la luce in un ambiente significa modificare lo spazio in cui l’uomo si muove, creando nuove percezioni di paesaggio e di atmosfera. La materia luminosa, infatti, si percepisce solo con gli occhi ma viene elaborata e in parte trasformata in un’esperienza fisica e para fisica che coinvolge totalmente il corpo e le emozioni. È la luce che ci permette di cogliere il ritmo costante del tempo e l’ineluttabile succedersi di giorno e notte. È la luce che ci lega allo spazio e alla presenza delle cose che ci circondano. Il peso relativo attribuito alle informazioni che riceviamo visivamente è enorme e supera di gran lunga l’importanza dei dati che percepiamo con gli altri mezzi sensoriali.
Per la sua capacità di plasmare superfici, modellare volumi, strutturare e delimitare gli spazi, la luce assume un potere che va molto al di là della sua capacità di rivestire ed avvolgere l’oggetto; essa diventa in realtà un mezzo costruttivo, efficace ed incidente. Oltre ad una valenza fisica la luce ha però anche un potere emotivo. Essa genera sensazioni spaziali con una forte influenza fisiologica e psicologica tanto da rendere legittima la definizione di “linguaggio luminoso”, una definizione che comprende i fenomeni ottico-visivi capaci di determinare un rapporto comunicativo fra spazio ed intelletto, attraverso la percezione visiva stessa. Nell’ambito dell’architettura il confronto fra psiche e fisicità avviene anche attraverso il colore.
Infatti ognuno di noi concorderà con la constatazione che la luminosità di un ambiente non è indipendente dai suoi colori e dalle sue superfici. La luce riflessa dalle superfici e quella emessa dalle sorgenti luminose interagiscono nel produrre lo spettro che viene percepito dall’occhio. Poiché colori e superfici influenzano in modo determinante l’illuminazione di uno spazio, una buona illuminazione non può venire progettata senza considerare le caratteristiche dell’ambiente stesso e soprattutto i colori in esso presenti. Tuttavia ridurre questa realtà ad una pura legge fisica è impossibile; i fenomeni fisici del colore, la pigmentazione e la luminosità, possono essere studiati e razionalizzati. Ma è molto più difficile trovare le leggi generali che spieghino il riflesso emotivo che individui diversi hanno di fronte alla stessa realtà visiva oppure rispetto a diversi aspetti cromatici. In questo anche l’arte gioca un ruolo importante.Con una panoramica sul passato scopriamo che la luce è stata espressa in modi diversi. Per l’impressionismo la luce è irradiazione. Nel “puntinismo” la luce crea densità e trasparenza, rendendo vibrante lo spazio. Nel “cubismo” invece la luce è direzione e viene assorbita dall’oggetto, per trasformarsi incolore dalle tonalità chiaro e scure.
Esiste dunque un’evoluzione del linguaggio luminoso che diventa comunicazione attraverso la percezione visiva. Dunque è solo in teoria che le proprietà espressive dell’oggetto architetturale si basano sulle proprietà visive dell’oggetto stesso. In pratica infatti la consapevolezza visiva di queste proprietà è determinata dal modo in cui l’oggetto è illuminato.
Quali sono dunque i criteri a cui attenersi nel progettare tale illuminazione? La prima regola è usare la luce come guida del processo percettivo, sfruttando la sua capacità di “sottolineare” lo spazio. La luce diviene così il tramite fra l’oggetto e la sua forma, modulandone i contorni e drammatizzandone i limiti spaziali. È proprio in architettura che questa regola può essere sperimentata con maggiore successo.La seconda regola è ricordarsi di usare il potere cromatico della luce, innescando il complesso gioco di riflessi e superfici che, con infinite possibilità di modulazione, arricchisce la percezione volumetrica dell’architettura. Inoltre può essere utile ricorrere anche alle capacità grafiche della proiezione luminosa, una forma espressiva che da qualche tempo si va imponendo con crescente successo. La luce artificiale diventa cosi una nuova “materia” che può essere d’aiuto ad enfatizzare le linee dell’architettura, stimolando occultamente la nostra psiche, modificando la percezione della tridimensionalità dell’oggetto e conferendogli una magia che altrimenti non avrebbe. Accade così che, seppure la forma dell’oggetto risulti ancora riconoscibile nelle sue linee generali qualsiasi sia la condizione di luce, i dettagli di tale forma, le particolarità della superficie, la percezione delle ombreggiature diventano elementi che dipendono dal modo in cui l’oggetto è illuminato. Concludendo, quando progettiamo un impianto illuminotecnico per un’applicazione “architetturale”, teniamo sempre presente che illuminare non significa soltanto dare la giusta quantità di luce all’oggetto o all’ambiente, bensì usare lampade e corpi illuminanti per modificare, controllare, misurare e interpretare lo spazio che ci circonda.
È così che la progettazione illuminotecnica da fredda applicazione di dati prestabiliti, diventa una scienza basata sull’intuizione e sulla riflessione e, in una certa misura, diventa un’arte applicata.
Articolo di Piergiorgio Capparucci fonte: Accademia della Luce
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